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L'acrobazia psichica nell'autoritratto
di Barbara Dall'Idro
Accomodante o perturbante che sia, l'oltre trova il suo innesco nel riflesso.
Si dovrebbe fare un buco nello specchio affinchè l'obbiettivo possa cogliere all'improvviso l'espressione del viso in tutta la sua intimità. (Pablo Picasso)
Storicamente l'autoritratto trova fortuna con la diffusione dello specchio piano, nei primi del Cinquecento, grazie agli artigiani veneziani.
Johannes Gumpp (1646, Firenze, Uffizi) mostra sulla sua tela se stesso nell'atto di dipingersi osservandosi allo specchio, creando un paradosso, o meglio coinvolgendo lo spettatore "nell'autentica acrobazia fisica e psichica" che l'autoritratto richiede. Il dipinto infatti è realizzato da un punto di osservazione esterno, come se fosse qualcun altro a dipingere l'artista nell'atto poietico.
Ci troviamo di fronte alla perturbante immagine di un artista che pare avere un'esperienza extra corporea per auto osservarsi mentre dipinge il suo volto.
Il paradosso si trova proprio nel fatto che il pittore, dovendosi rappresentare come "altro", innesca tutti i meccanismi di identificazione che caratterizzano la relazione tra artista e modello: se eseguendo un ritratto l'artista deve identificarsi con il modello per comprenderne la realtà più profonda, nell'autoritratto osserviamo prima una disidentificazione con se stessi, si assiste dunque ad una scissione tra me che dipingo, Io attivo, e me che rappresento, Io passivo, ossia per vedermi, per comprendermi, per riprodurmi su tela, mi devo rappresentare come se fossi altro da me.
Ecco dunque che l'acrobazia psichica del pittore è il suo sforzo di essere soggetto ed oggetto e raccontarsi senza plasmare un'alterità che non c'è: la questione che l'uomo senta di non essere solamente ciò che appare, lo potrebbe indurre ad autorappresentarsi in modo da sembrare più carismatico, e questa sarebbe una falsificazione del proprio Io, un'immedesimazione inefficace nell'oggetto (soggetto).
Stefano Ferrari, nel suo testo Lo specchio dell'Io (Laterza) parla quindi di raddoppiabilità e plasticità dell'Io, poiché nell'atto di autoritrarsi si rivela la capacità dell'Io di sdoppiarsi, mantenendo però essenzialmente la sua integrità, di qui la valutazione che solo un Io elastico possa eseguire un autoritratto efficace, sdoppiandosi ma senza perdere la propria coesione.
Questa disidentificazione può risultare certamente perturbante, ma anche salvifica, poiché permetterebbe all'artista di prendere le distanze dal proprio dolore, osservandolo e rappresentandolo appunto dall'esterno.